25 Settembre 2018
La gig economy e l’HR management, una sfida etica
L’assegno di ricollocazione previsto dal Jobs Act prima. I recenti incontri tra il Ministro del Lavoro e i rappresentanti dei riders delle piattaforme di food delivery poi. L’esigenza di affrontare i nodi scoperti della gig economy dal punto di vista normativo è viva anche in Italia. Ma l’economia dei ‘lavoretti’, esplosa grazie alle nuove tecnologie, non richiede solo una regolamentazione e un intervento ad hoc da parte dei legislatori. Anche le risorse umane infatti, come sottolinea l’HR Manager di Miko, possono migliorare la situazione dei lavoratori on demand: trovando soluzioni in grado di “fare stare in piedi il business aziendale nel rispetto delle persone”.
HR e gig economy: necessario impegnarsi per “fare stare in piedi il business aziendale nel rispetto delle persone”. Igor Muzzolini, Miko #gigeconomy #HRinnovation Share on X
Gli attori della gig economy: gig workers tra mancanza di inquadramento e precarietà
Negli Stati Uniti, dove la gig economy rappresenta ormai una realtà consolidata, se ne parla da tempo. Anche in Italia, la recente sentenza del Tribunale del Lavoro di Torino, ha fatto riaccendere la querelle riguardante la natura, subordinata o autonoma, del nuovo lavoro digitale a chiamata.
Da un lato, infatti, nonostante la pronuncia dei giudici, i fattorini di Foodora che sostengono di essere stati licenziati ingiustamente sono già pronti all’appello. Dall’altro, la loro condizione professionale, vista da più parti come eccessivamente labile e priva di garanzie, continua a far discutere.
Chiaramente, a interrogarsi e proporre soluzioni, oltre all’opinione pubblica, sono anche alcuni Direttori del Personale. Tra chi ha chiarito la propria posizione ai microfoni di Este, troviamo punti di vista diversi. Igor Muzzolini, HR di Miko, auspica l’adozione di un contratto collettivo altamente flessibile, magari improntato al vecchio job sharing dalla Legge Biagi. Daniele Marotta, Direttore Risorse Umane e Organizzazione di Cigierre, ricorda l’equità retributiva del lavoro a chiamata, che offre la paga oraria base del settore di riferimento, pur sottolineandone la dimensione precaria.
Per affrontare le sfide della gig economy punta sull’etica e sulla mediazione
La riflessione sulla necessità di una normativa chiara e applicabile non è sufficiente. Invece è necessario riflettere sul ruolo che la categoria HR può giocare nella delicata e complessa situazione dei gig workers. Da sempre, le HR sono infatti mediatori e partner del business. In questo caso, secondo gli intervistati, è necessario conciliare le sempre più pressanti esigenze di far quadrare i conti con il diritto a un trattamento dignitoso da parte dei lavoratori.
Ma come tradurre questi buoni propositi nella pratica?
Sicuramente, il primo passo dai compiere è suggerire il rispetto sostanziale della normativa. Dunque, proporre il giusto inquadramento per le posizioni vacanti. Facendo quindi in modo di evitare che l’impresa ricorra a scappatoie pur di risparmiare sul costo della manodopera.
In secondo luogo, servirà fare matching tra lavori complementari, come quelli da svolgere durante la settimana o nel weekend. Soprattutto inoltre, sarà indispensabile operare con la massima trasparenza già nella fase di recruiting. Quindi, descrivere con obiettività l’opportunità lavorativa durante il colloquio, farà sì che i candidati possano valutare liberamente se la ritengono consona o meno.
Fondamentale è dunque sottolineare la dimensione etica di una professione che, come puntualizzato da Marotta, influisce sul futuro e sulle vite delle persone e delle loro famiglie.
Photo by Leti Kugler
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